La privacy, un diritto volto a tutelare la dignità della persona e il suo sviluppo all’interno della società, è un concetto di recente introduzione nella storia dell’umanità.
Ma cosa si intende esattamente con il termine privacy? È difficile darne una definizione esaustiva perché il suo significato si continua ad evolvere in relazione al periodo storico e al contesto in cui ci si trova.
La prima apparizione scritta del termine privacy risale all’articolo “The right of privacy” di Warren e Brandeis pubblicato nel 1890, anche se già nel 1849 e nel 1878, quando la privacy venne definita come the right to be let alone, ci si era trovati ad affrontare l’argomento in alcuni casi discussi in tribunale.
La privacy, quindi, è nata e si è sviluppata durante l’era industriale, quando l’urbanizzazione di massa, la diffusione e lo sviluppo dei mezzi di informazione hanno creato condizioni di estrema vicinanza tra le persone e una più facile circolazione di notizie sui singoli individui. In questo contesto sociale era più facile condizionare e distruggere la reputazione e quindi la vita di una o più persone, come è successo, ad esempio, con la propaganda mediatica perpetrata dai nazisti a danno degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. In questo contesto la privacy assolve al duplice scopo di proteggere la vita privata dalla curiosità degli altri e di controllare le informazioni che da questa escono verso l’esterno: la privacy, quindi, come protezione della sfera privata.
Nel corso del XX secolo, oltre a svilupparsi ulteriormente gli strumenti di informazione di massa come la radio e la televisione, vengono inventati i computer e realizzate le prime reti di telecomunicazione: l’era industriale sta ormai tramontando per lasciare il posto a quella dell’informazione.
Governi ma anche aziende private, iniziano a raccogliere informazioni sui singoli individui e le memorizzano in banche dati invece che in semplici archivi cartacei com’era stato fatto fino ad allora. Con l’ausilio dei computer l’accesso a queste informazioni è più veloce rispetto al passato e l’incrocio dei dati tra loro e con quelli contenuti in altre banche dati diventa possibile. A spingere questa evoluzione non è soltanto la ricerca di efficienza e di abbattimento dei costi ma anche finalità quali il marketing o la sicurezza pubblica. Le reti di telecomunicazione facilitano anche il trasferimento dei dati non solo da una sede all’altra di una stessa azienda o istituzione ma anche oltre i confini nazionali, dove le regole sulla gestione dei dati potevano essere anche meno severe rispetto a quelle del paese di origine.
Per fronteggiare la raccolta, la trasmissione e l’utilizzo indiscriminato dei dati, il significato di privacy si è dovuto ampliare per consentire al singolo di acquisire un controllo consapevole sulla circolazione delle proprie informazioni personali in qualsiasi forma essa avvenga. La privacy non è più soltanto una protezione della sfera privata ma anche una salvaguardia che consente all’individuo il controllo delle proprie informazioni.
A cavallo tra il XX e il XXI secolo l’evoluzione tecnologica continua a svilupparsi: computer sempre più potenti e più piccoli, nascita e diffusione di internet, maggiore velocità di trasmissione delle reti, comparsa di dispositivi intelligenti come smartphone, tablet, “cose” in grado di raccogliere informazioni e di inviarle sulla Rete (il cosiddetto Internet of Things o IoT) inseriti in oggetti di uso quotidiano come automobili, vestiti, ecc. Si assiste, quindi, ad una diffusione capillare ed invasiva delle capacità computazionali (il così detto ubiquitous computing) e ad una raccolta spesso inconsapevole di informazioni eterogenee del singolo individuo.
In internet proliferano siti web con lo scopo di raggiungere vari obiettivi spesso di mercato. Alcuni di questi danno vita al fenomeno dei Social Network, piazze virtuali in cui gli individui posso esprimere e condividere le proprie esperienze. I dispositivi utilizzati per accedervi diventano oggetto di tecniche volte a identificare l’individuo al fine di definirne il profilo e predirne comportamenti e preferenze. Sempre più spesso sistemi automatici processano i dati in loro possesso e prendono decisioni su questioni riferite ad un singolo individuo (utilizzando algoritmi o sistemi di intelligenza artificiale).
I dati raccolti dai siti web però sono anche bacini di informazioni da cui, soggetti pubblici e privati, possono attingere informazioni personali e, incrociandole con quelle già raccolte tramite altri dispositivi, creare delle basi di dati ancora più grandi, eterogenee, ma soprattutto molto accurate e in tempo reale: i così detti Big Data. Le informazioni così ottenute, possono essere poi utilizzate per varie finalità di marketing ma anche per plasmare le coscienze e condizionare i comportamenti dei singoli, purtroppo spesso a loro insaputa. Si pensi allo scandalo Cambridge Analytica e Facebook, dove le informazioni di milioni di utenti Facebook, precedentemente raccolte tramite una ricerca scientifica volta a produrre profili psicologici e previsioni comportamentali, sono state invece utilizzate per scatenare un attacco mediatico all’inconsapevole utente al fine di sviluppare un sentimento anti-Clinton a favore di Trump durante la corsa alle presidenziali USA del 2016.
In questo quadro così convulso e complesso, la privacy ha quindi subito un’ulteriore evoluzione al fine di garantire la capacità dell’individuo all’autodeterminazione (attraverso il controllo diretto del trattamento dei dati operato da soggetti pubblici e privati) e la conservazione dei processi democratici della nostra società. In pratica non solo è un diritto di ognuno di noi, ma diventa un dovere difenderla da chiunque cerchi di sfruttarla per i propri interessi personali e, per chi detiene i dati, di proteggerli con il massimo impegno.